Un tuffo dove la plastica è più blu... Non suona bene come la frase originale ma ahimè forse dovremo abituarci a sentirla.
Il 3 Luglio 1997 Charles Moore, un miliardario magnate del petrolio convertito alla causa ambientale, stava tornando da una regata alle Hawaii quando, decidendo di percorrere una rotta un po’ insolita, si ritrovò circondato da un mare di rifiuti. Fu così che Charles Moore scoprì il Pacific Trash Vortex, un enorme “isola” fatta di spazzatura galleggiante!
Restando al sicuro nelle nostre case pulite non ce ne siamo resi conto ma a partire dagli anni ’50, quando la plastica entrò prepotentemente in ogni ambito della vita quotidiana, tonnellate di rifiuti sono finiti (e finiscono tuttora) in mare.
Secondo uno studio pubblicato recentemente dall’UNEP (United Nations Envirnoment Programme), ogni anno dai 10 ai 20 milioni di tonnellate di plastica raggiungo gli oceani! Un altro studio, condotto dall’ingegnere ambientale Jenna R Jambeck, ha calcolato che nel 2010 sono stati prodotti 275 milioni di tonnellate di rifiuti plastici dalle 192 nazioni che si affacciano sul mare. Di questi, una quantità che potrebbe variare tra i 4,8 4 i 12,7 milioni di tonnellate hanno raggiunto le acque dell’oceano.
Sta di fatto che al momento alcune vaste aree dell’oceano somigliano ad enormi discariche a cielo aperto e nel tempo sono destinate ad aumentare di volume.
Come si sono formate le “isole” di plastica
Sommario Articolo
Nonostante il fatto che la produzione industriale di plastiche si concentri nell’emisfero settentrionale l’azione delle correnti marine ha distribuito i rifiuti ad ogni latitudine, compresi i mari artici. Una volta in mare la plastica si fotodegrada, riducendosi via via in pezzi sempre più piccoli, questi detriti vengono trasportati per chilometri e chilometri, tendendo ad ammassarsi in aree ben determinate. Le correnti oceaniche formano infatti cinque grandi vortici: il Turtle Gyre, nel nord Pacifico, l’Heyerdahl Gyre nel sud Pacifico, il Majid Gyre nell’oceano indiano, il Columbus Gyre nel nord Atlantico e il Navigator Gyre nel sud Atlantico. È qui che si concentra gran parte dei rifiuti di plastica, andando a formare le famose “isole” di plastica!
Il Pacific Trash Vortex (o Great Pacific Garbage Patch), scoperto da Charles Moore, ha un estensione stimata tra i 700.000 km2 e i 10 milioni di km2. Questo significa che potrebbe essere grande quanto la Penisola Iberica oppure quanto gli interi USA! Ma il North Atlantic Garbage Patch non ha niente da invidiare e anche il Mediterraneo possiede la sua buona dose di rifiuti, calcolata in 115.000 pezzetti di plastica per km2.
[Tweet “L’isola di plastica situata nell’Oceano Pacifico potrebbe avere la stessa estensione degli USA!]
Da dove viene tutta questa plastica?
La risposta ahimè è abbastanza scontata, arrivano dalle nostre tavole, dai nostri uffici, dalle industrie…
A seconda del sistema di gestione dei rifiuti e della dimensione delle popolazioni ci sono nazioni che contribuiscono di più all’inquinamento dei mari e altre meno. Non stupisce che nella classifica pubblicata dal team di Jenna R. Jambeck si trovino ai primi posti Cina, Indonesia, Filippine e Vietnam.
“Stiamo navigando sempre belli veloci sulla nostra rotta. Ma un grosso problema si sta rilevando la quantità pazzesca di oggetti di plastica che galleggiano in mare. Continuiamo ad avvistare boette, pezzi di cima galleggianti, pezzi di cellofan, pneumatici di automobili, pezzi di rete, grosse sfere nere di plastica alla deriva, insomma una miriade di oggetti consunti dal mare e dal sole che navigano insieme a noi intorno all’alta pressione. A qualche centinaio di miglia a nord della nostra posizione si trova la tristemente famosa isola di plastica ma evidentemente i suoi confini non sono così netti e i rifiuti viaggiano per buona parte di questo mare. Questa notte abbiamo lottato un paio d’ore per cercare di liberare il timone sinistro da una cima galleggiante di plastica e continuiamo a vigilare verso prua per cercare di evitare i moltissimi oggetti che incontriamo. E` una sensazione triste di impotenza e rassegnazione quella che si prova davanti a uno spettacolo cosi devastante. Veniamo dal triangolo d’oro dell’intelligenza umana, la Silicon Valley, dove immensi capitali sono concentrati in poche mani che ogni giorno pensano e inventano il nostro futuro. Lungo la costa della California ogni anno centinaia di balene risalgono la corrente per andare a nutrirsi nel Pacifico del nord e a prima vista sembra che il mondo, questo mondo, stia pensando anche a un futuro sostenibile. Ma a sole mille miglia da costa la visione è ben diversa e lo scempio si presenta davanti ai nostri occhi nella sua immonda crudezza.
È questa la vera faccia del progresso? È questo quello che ci aspetta? Mari pieni di plastica, pesci e uccelli morti avvelenati. Forse invece di pensare solo al nostro tecnologico futuro dovremmo investire risorse per difendere da noi stessi le risorse di questo pianeta”
Questo il messaggio inviato alla base il 13 Maggio 2015 da Giovanni Soldini, a bordo di Maserati per battere il record San Francisco-Shanghai.
Ma Soldini non è l’unico ad aver riportato simili incontri. Durante la Roma-Ocean-World Matteo Miceli, passando vicino ad uno dei vortici nel sud dell’Oceano Indiano, è stato costretto a buttarsi in acqua per liberare la chiglia del suo Class 40 da un lungo tubo di gomma.
Dalla Volvo Ocean Race Bouwe Bekking, skipper di team Brunel, racconta “C’è così tanta plastica in mare che ho deciso di contare i pezzi che vedevo nell’arco di 10 minuti. E l’ho fatto per quattro ore“. Il risultato: un pezzo di plastica ogni 37 secondi!
Sempre durante l’ultima edizione della VOR il team Mapfre ha visto improvvisamente rallentare la barca, per poi scoprire di aver agganciato un grande foglio di plastica.
Gli effetti sugli organismi viventi
L’impatto ambientale è ovviamente devastante ma lo è ancor più di quanto non possa sembrare.
Ogni anno milioni di esseri viventi muoiono a causa dell’ingestione di plastica o perché intrappolati dai rifiuti. Ad esempio la riserva naturale di Midway alle Hawaii ospita una colonia di Albatros che ogni anno da alla luce 500.000 pulcini, 200.000 dei quali muoiono a causa dell’ingestione di plastica con cui i genitori li nutrono, scambiandola per cibo.
Oltre a questi danni diretti ce ne sono altri legati all’ingresso nella plastica nella catena alimentare. I frammenti di plastica più piccoli vengono ingeriti dagli organismi filtratori (all’inizio della catena alimentare), questi vengono a loro volta mangiati dai pesci più piccoli, che vengono mangiati dai pesci più grossi. I frammenti di plastica passano dallo stomaco ai tessuti e chi c’è in fondo alla catena alimentare? Una specie che ama autodefinirsi Homo Sapiens Sapiens!
Numerose possibili soluzioni sono attualmente in fase di studio e grazie agli sforzi di associazioni internazionali, enti pubblici e privati il problema è ormai noto in tutto il mondo. Un’altra volta ci siamo resi conto tardi dell’enormità dei danni che stiamo causato a questo pianeta!

Fonti: rivista “Le Scienze” edizione italiana di Scientific American n. Aprile 2015 e varie