Imprese incredibili compiute per disperazione, per il bisogno di fare qualcosa di grande, per colmare un vuoto, per mettersi alla prova, per una causa importante… La maggior parte di noi può solo provare ad immaginare gli incredibili momenti passati da grandi navigatori oceanici come Montessier, Tabarly, Folgar… Cosa significa salpare per un viaggio in solitario intorno al mondo, senza sapere né se né quando si tornerà?
Le pagine della storia della nautica, e sopratutto della vela, sono piene di imprese estreme a volte risultate vittoriose e a volte no. Chi non vorrebbe sedersi a prendere un caffè con questi grandi uomini e perdersi nei loro racconti? Questa volta non voglio scrivere la loro biografia, voglio che siano loro stessi a parlare, magari da un diario di bordo, da un libro o da un affermazione celebre.
Attimi immortali
“Era una visione fantastica… le grandi creste dirompenti… il mare rigato di spruzzi volanti, senza un attimo di sosta.”
Forse non avete sentito parlare di loro ma Miles e Beryl Smeeton appartengono alla storia del mare da quando comprarono il loro ketch Tzu Hang nel 1951. La coppia inglese fallì nel tentativo di doppiare Capo Horn per ben due volte, disalberando rovinosamente quasi nello stesso punto, ma non si perse d’animo e anni dopo riuscì nell’impresa, portando a termine la circumnavigazione del globo.
Perché
Ogni navigatore ha il suo perché, la sua motivazione per affrontare grandi rotte e mari in tempesta. Voi perché andate per mare?
“Vorrai certamente sapere perché non sono rientrato in europa. Il motivo è che nel mondo moderno ci sono troppi dei. Moravia ha mille volte ragione quando scrive che la misura umana è l’universale ed il particolare, e non il gigantesco ed il minimo. Che cosa avrei trovato in europa? Soltanto il gigantesco che stritola l’uomo ed il minimo che l’abbrutisce. Ecco perché non sono rientrato in europa. Per non ritornare in europa, avrei potuto far vela verso le antille o verso dakar. Non l’ho fatto perché questi posti, per il momento, non mi attirano, ma soprattutto perché in mare ero felice, perché avevo trovato la pace del mio spirito, una pace totale, profonda, troppo preziosa per dover rischiare di perderla fermandomi “prima del tempo giusto”. Non potevo sopportare l’idea che il mio viaggio dovesse concludersi poche settimane dopo il capo horn.
Il desiderio di continuare verso il pacifico era sorto in me molto tempo prima del capo horn. Ma era soltanto un desiderio, qualcosa maturato dallo spirito e che la mia mente accarezzava. Soltanto dopo l’horn, dopo l’immensa purezza dell’horn, il desiderio di proseguire, di andare molto più lontano divenne una sorta di esigenza materiale, piuttosto che una decisione pura e semplice. Non si trattava, qui, di arrivare alla fine di un viaggio, ma di giungere “alla fine di me stesso”.
Dovevo proseguire, era necessario che rimanessi più a lungo nelle alte latitudini, dove l’essere umano si trova senza forze, smarrito per la consapevolezza dei suoi limiti, ma dove trova anche coscienza della sua grandezza. In quelle latitudini, sentivo che il mio essere si rimpiccioliva e s’ingrandiva, che lo spirito è carne, e che la carne è spirito. Ecco perché, quando all’alba salivo in coperta, mi piaceva urlare la mia gioia di vivere, mentre contemplavo il cielo che andava rischiarandosi su quel mare colossale per forza e per bellezza, e che, a volte, cercava di annientarmi. Per questo ho continuato. O per lo meno credo sia questo il motivo. Certo, spesso ero preso da un forte smarrimento di fronte ai potenti colpi di vento, alle ondate gigantesche, alle nuvole gravide di pioggia che si rincorrevano a pelo d’acqua portando con loro tutta la tristezza del mondo e tutto il suo sconforto. Ma dovevo continuare lo stesso; forse perché quando si comincia una cosa, si deve condurla a termine, anche se, a volte non se ne comprendono le ragioni. Ma che cosa ti vado dicendo? Non sono ragioni sufficienti e validissime i cieli limpidi, i tramonti color del sangue e della vita in un mare scintillante di bellezza? Come spiegare tutto ciò? Si può forse spiegare che non sono le stelle, il mare, il vento in se stessi a procurarci l’estasi ed il sogno, ma che invece sono i nostri sensi e la nostra anima a cercare tutto ciò? È difficile dare una spiegazione alla mia decisione di continuare il viaggio, ma un motivo doveva esserci, e questo motivo aveva un valore immenso, immensamente più grande del globo d’oro e delle 5.000 sterline del “sunday times”.
“La lingua non è sufficiente a dire e la mano a scrivere tutte le meraviglie del mare”.
Cristoforo Colombo
“È ora di stendere le mie bianche vele alla leggera brezza di sud-est che mi annuncia essere giunta l’ora di partire ancora una volta verso quella linea dell’orizzonte che la mia barca non raggiungerà mai. Ma dietro quell’orizzonte ci sono altre terre, altri amici che vorrei conoscere meglio prima di doverli lasciare. Destino del marinaio, sempre insoddisfatto, perché pensa che, sull’altra riva, sempre più lontano, debba trovarsi quello che cerca”.
Bernard Montessier
“La vela è una religione… ha i suoi riti. Se fa bello, fa bello. Se c’è vento, c’è vento. E se non c’è vento, si aspetta, si sorveglia. Hai fame, mangi. Hai sete, bevi. Ti prende sonno, dormi. È una scuola di pazienza”.
Bernard Montessier
“Quando il motivo del viaggio non è più l’arrivo, il viaggio stesso diventa la meta.”
“Stare per settimane solo tra mare e cielo è la mia vita.
Manfred Marktel
La vela semplice
Poca tecnologia, una barca piccola e semplice… È questo il vero volto della vela?
“La vela sta diventando uno sport pieno di inutile complessità. Questa complessità è frutto del mercato. Riceviamo una costante pressione a comprare sempre più gadget, barche sempre più grandi e sofisticate. Non sono contro il mercato. Sono anch’io in un certo senso un uomo d’affari, ma non mi piacciono i grandi yachts. Credo che un piccolo cabinato restituisca 100 volte di più il piacere di navigare piuttosto che un mostro marino super equipaggiato, perché permette un contatto più diretto con la natura, che poi è la ragione per cui si va in mare. A forza di seguire la navigazione su uno schermo si finisce col credere che quella è la realtà, mentre la vita è fuori in pozzetto. Veramente abbamo bisogno di tutto questo? Serve necessariamente un anemometro per sapere che abbiamo troppa tela a riva?”
“La gente dice che è una impresa suicida – afferma il navigatore svedese – ma io dico che una barca grande è più pericolosa di una piccola, comporta forze e carichi enormi attorno a te. La mia barca invece è una specie di capsula, non può accadermi nulla. È come una bottiglia nell’acqua, può capovolgersi, ingavonarsi, ma torna sempre su. Tra i suoi obiettivi in questo giro del mondo c’è anche quello di sensibilizzare a ridurre l’impatto ambientale dell’uomo. Stiamo vivendo ormai da anni al di sopra delle nostre possibilità – spiega – i combustibili fossili si stanno esaurendo, così come l’acqua. Se dimostro di poter vivere su una barca di 3 metri per più di un anno con tutto il cibo necessario, credo di dare un buon esempio.”
Quando meno te lo aspetti
In barca possono succedere tante cose brutte e capitano proprio quando meno te lo aspetti. Puoi fare due cose: accettare il tuo destino oppure darti da fare a trovare un modo per salvarti la pelle.
“Era il primo marzo, una giornata tranquilla, stavo leggendo in coperta, mentre una balenottera mi girava attorno, forse incuriosita. All’improvviso emerge mamma balena, un mammifero enorme, che punta il Surprise. La prima volta mi passa sotto la barca, poi mi punta una seconda volta, si immerge ancora all’ultimo istante, ma prima di farlo mi colpisce con un violento colpo di coda. Facendo sbalzare il Surprise e provocando una falla che avrei poi tappato con una vela e della stoppa. In quel momento ho pensato anche di affondare e sono stato tentato di gettare in mare la zattera di salvataggio. Ma ero troppo lontano da tutte le coste: quella cilena e quella neozelandese. Mi sono sentito perso. E mi è venuto da piangere pensando che fosse tutto finito… Poi mi sono ripreso: ho iniziato a svuotare la barca, ma da quel giorno ho sempre dormito con i piedi nella sentina. Quando l’acqua si alzava troppo mi svegliavo per forza.”
L’inizio
Ogni grande uomo e donna di mare ha iniziato il proprio cammino sognando ad occhi aperti, sulle banchine del porto.
“…subito cominciai a visitare i porticcioli della Liguria, sognando una barca capace di portarmi in brevi e lunghe crociere. E chi lo sa? Forse un domani anche in una crociera molto lunga. Non molto tempo dopo, già nel 1972 potevo acquistare la mia prima barca, un bello sloop di 9m in vetroresina, costruita in Italia ma di progetto Inglese. Prime crociere, primi mal di mare, e molta pratica di navigazione”.
Manfred Marktel
Grazie per essere arrivati a leggere fin qui, ci vediamo al prossimo articolo!