- Immaginate di progettare la barca dei vostri sogni, costruirla e poi salpare per compiere un giro del mondo in solitario e senza scalo e senza assistenza… Questo è ciò che ha fatto il navigatore italiano Matteo Miceli nella sua ultima avventura.
- Il 19/10/2014 alle 11.55 è salpato da Riva di Traiano, accompagnato per le prime miglia dalle imbarcazioni dei suoi amici, facendo rotta verso Gibilterra e poi giù verso Sud. Il progetto Roma Ocean World prevedeva il passaggio da Capo di Buona Speranza, Capo Lewinn e Capo Horn, circumnavigando quindi l’Antartico per poi tornare a Roma attraversando l’Atlantico. Sfortunatamente, dopo 145 giorni di navigazione, a sole due settimane dall’arrivo, Eco40 ha fatto naufragio al largo delle coste brasiliane. Miceli è stato soccorso da una nave cargo e solo successivamente è riuscito a recuperare la sua barca, alla deriva.
Sinceramente dispiaciuta per la triste fine della missione ci tengo a manifestare la mia stima verso un grande velista e coraggioso uomo di mare, certa che il sentimento sia comune a tutto il mondo della vela. Da un navigatore esperto come Miceli c’è sempre tanto da imparare perciò gli abbiamo chiesto di rispondere a qualche curiosità…
Sei diventato famoso per le tue traversate oceaniche da record ma tu non sei solo un velista. Come socio titolare dei Cantieri d’Este hai progettato da solo sia il tuo primo Class 40 che l’ultimo arrivato Eco40. Quali caratteristiche deve avere una barca adatta a imprese estreme come quelle che hai affrontato?
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“Esatto, io sono un costruttore, ho avuto diversi cantieri navali ed è un aspetto della nautica che mi appassiona molto. Dietro alla costruzione di una barca però c’è sempre un team fatto di progettisti, strutturisti, velai ecc e io non sono mai stato da solo, né per la costruzione del mio primo catamarano, né per Eco40. L’idea iniziale si, era mia ma lo sviluppo è stato portato avanti sempre da una squadra di professionisti.
Eco40 in particolare ha richiesto per la progettazione e la costruzione una grande quantità di tempo e risorse. Il bello però è anche questo, non possiamo pensare di competere con i francesi o gli inglesi, per i quali la vela può essere una professione, lo facciamo solo per passione!
Ho scelto il Class 40 perché è una barca con caratteristiche da giro del mondo: con paratie stagne, ballast che la tengono dritta e un perfetto bilanciamento che gli permette di raddrizzarsi da sola se rovesciata. È inoltre una barca leggera, veloce, piatta e con una grande prua che limita il rischio di ingavonate. L’incidente della chiglia non era previsto! – scherza Matteo-“
Mi immagino una barca con strumentazioni estremamente sofisticate, è così?
“Non troppo, io non sono mai stato un mago dell’elettronica. Una barca del genere deve innanzitutto avere un buon pilota automatico. Oggi ne esistono modelli altamente performanti, adatti anche a barche che scivolano sull’onda a 30 nodi di velocità!
Anche gli strumenti di comunicazione sono fondamentali per mantenere un collegamento stabile con il team a terra. La tecnologia di oggi ci permette di essere costantemente monitorati. L’assistenza di un buon meteorologo in particolare è indispensabile per questo genere di imprese.”
Immagino che tutto sia organizzato in modo da evitare che un banale guasto mandi all’aria tutta la missione. Come Funziona, per ogni strumento ne avevi uno di rispetto oppure esistono dei sistemi di sicurezza in grado di garantirne il funzionamento in ogni condizione?
“Fin dal primo momento ho pensato di portarmi tutto doppio o persino triplo. Un errore è stato infatti imbarcare solo un pilota automatico di rispetto. Quando, in Oceano Atlantico, si è rotto il primo sono rimasto con un solo pilota, ed è impensabile percorrere migliaia di miglia al timone!
Bisogna avere assolutamente tutto doppio e possibilmente non dello stesso modello poiché, se dovessero esserci problemi con un pezzo in particolare, potrebbe tornare utile bypassare il problema con un sistema differente.
Quello che serve di più però è la competenza, per compiere queste imprese non bisogna solo essere bravi navigatori o velisti ma anche ottimi manutentori. La mia abilità di costruttore mi è tornata molto utile in tanti casi, ad esempio quando ho rotto le boccole e ho dovuto costruirne altre di fortuna”.
Eco40 è la prima barca completamente autosufficiente, a emissione zero. Cosa significa in termini pratici?
“Vuol dire che non ho portato con me una sola goccia di combustibile fossile! Pannelli solari, generatori eolici, due pacchi di batterie e un efficiente dissalatore mi hanno garantito l’autosufficienza energetica e alimentare.
Per cucinare utilizzavo un bollitore elettrico, una padella elettrica e un frigorifero. Con questo sistema i pesci pescati, le due galline e l’orto che avevo a bordo mi hanno permesso di arrivare tranquillamente alla fine dell’Atlantico. Poi la morte di una delle galline e la scarsa produttività dell’orto, dovuta alla carenza di luce solare diretta, mi hanno messo in difficoltà. Un grande errore è stato non approfittare della buona pescosità dell’Atlantico per fare scorta; nel Pacifico l’acqua era a 5°C, l’aria ghiacciata e le condizioni meteo impegnative perciò pescare è diventato difficile e rischioso.
Penso di avere comunque dimostrato che il sistema funzioni, è solo da perfezionare”.
È vero che a bordo, oltre alle famose galline, avevi una coltivazione di fragole?
“Gli antichi navigatori hanno sempre utilizzato questo sistema, coltivando e allevando animali a bordo. L’angolo di poppa della barca si chiama giardinetto proprio perché un tempo era il luogo dove veniva posizionato l’orto!
Io non ho fatto niente di più: ho posizionato un orto basculante all’interno della barca con fragole, pomodori, insalata e germogli. Il problema sono state la carenza di luce solare diretta e le temperature troppo basse; per riscaldare e illuminare l’orto avrei dovuto utilizzare troppa energia, sottraendola ad altre funzioni più importanti”.
Abbiamo seguito con gioia la tua partenza per la Roma Ocean World, le miglia percorse e vissuto con grande apprensione i giorni del tuo naufragio. Fortunatamente sei riuscito a recuperare Eco40. In che condizioni l’hai trovato?
“Quando ho recuperato Eco40 ho salvato solo lo scafo, il resto era completamente devastato. Attualmente la barca si trova in un cantiere a Roma, in attesa delle molte riparazioni da fare e di una nuova strumentazione. Ho fatto buona parte del mio giro del mondo con pochi sponsor (tra cui il mio lavoro di comandante) ma ora c’è bisogno di soldi.
Comunque l’intenzione è di riportare Eco40 in condizioni di navigare e riprendere il largo!”
Ritenterai nella missione oppure stai già progettando una nuova avventura?
“La volontà è quella di completare il mio giro del mondo, non uguale perché non mi piace ripetere le cose due volte. Sto pensando ad una regata con i Class 40, nel 2019. Mi piace chiamarla “la Vendèe Globe dei poveri”! Non possiamo investire quei 7-8 milioni di euro che ci vogliono per partecipare alla rinomata regata attorno al mondo ma possiamo organizzarne un’altra, sempre perfezionando il discorso dell’autosufficienza”.
Ringrazio Matteo Miceli per la cortesia con cui ha risposto alle mie curiosità e gli auguro Buon Vento per tutte le sue avventure! Invito tutti voi invece a seguire le imprese di Matteo sul sito ufficiale